L’Unione europea continua ad andare discretamente male. Coloro i quali speravano in un deciso cambio di rotta, in un salto di qualità almeno dopo la crisi del 2008 sono rimasti delusi. La diagnosi della crisi che ha prevalso ha operato come una cura sbagliata amministrata ad un paziente malato e debole.
Non è bastato denunciare a gran voce politiche di austerità inefficaci che stavano uccidendo il paziente. Purtroppo, per quelle forze neoliberiste e del Pensiero Unico che dagli anni ’80 ci stanno servendo l’attuale modello di sviluppo, l’austerità ha funzionato benissimo, perché ha contribuito e contribuirà fino all’ultimo allo scopo primario – dalla scuola di Chicago in poi: spostare il benessere dal 99% a quell’1% che incredibilmente, ancora in queste ore, non cessa di arricchirsi.
Certo, negli ultimi anni la convinzione che il rigore scodellerà i suoi frutti e sarà il giusto sacrificio per riportare l’UE al centro della crescita mondiale si è un filo incrinata, ma non grazie ad un’analisi profonda dei bisogni e dei cambiamenti in atto. Il panico, tardivo, a fronte dell’instabilità politica di cui la Brexit non è stata che la più recente e drammatica espressione ha prodotto qualche paternalistica reazione, palesemente insufficiente. Paradossalmente, le forze populiste, antieuropee ed estreme si stanno rivelando talmente velleitarie e poco credibili agli occhi dei disperati che le hanno votate, che il pendolo potrebbe presto spostarsi nuovamente ahimè verso un’astensione ancora più pronunciata, senza alcuna, vera proposta di alternativa sostenibile.
Ciò che ci riserva l’autunno, fra stagnazione economica e squilibri nell’area euro, terrorismo, crisi nei nostri modelli di convivenza, rifugiati e immigrazione, imbarbarimento ed impotenza della politica a tutti i livelli assorbirà le nostre energie, che sono già allo stremo, e ovviamente non consentirà a nessuno di provare ad immaginare un filo conduttore per uscire da tutto questo.
Eppure…
Un nuovo modello di sviluppo è possibile
La crescita e lo sviluppo mondiale in particolare dal secondo dopoguerra ad oggi, con focus sugli ultimi 30 anni ci consegnano un pianeta nel quale si intrecciano tre questioni fondamentali, che corrispondono ad un’unica sfida complessa e cruciale per noi tutti:
– una crescita demografica senza precedenti. Siamo 7 miliardi e 200 milioni, praticamente 9 volte gli abitanti della terra all’inizio della prima rivoluzione industriale, e continuiamo a crescere di circa 75 milioni all’anno, di questo passo gli abitanti del pianeta saranno 8 miliardi nel 2020 e forse 9 nel 2040;
– una crescita economica che genera diseguaglianze mai viste prima sia fra aree geografiche, e fra paesi nelle stesse aree geografiche, che all’interno dei paesi stessi. Queste diseguaglianze sono alla base di diversi fenomeni, il più evidente e drammatico dei quali per l’Europa è l’immigrazione dai paesi africani ed asiatici, in particolare dall’Africa subsahariana e dall’Asia centrale dove l’estrema povertà, i conflitti ed i cambiamenti climatici (vd sotto) mettono quotidianamente a rischio la vita di milioni di persone;
– una crescita economica che sta minando in modo irreversibile le risorse naturali del Pianeta. Solo pochi hanno davvero capito la catastrofe che è ormai dietro l’angolo (davvero proprio imminente) e che, se non fermata, potrebbe essere il risultato dei seguenti fattori, tutti interconnessi: cambiamenti climatici, acidificazione degli oceani, buco dell’ozono, inquinamento da fertilizzanti (nitrogeno e fosforo) che genera alghe in mare con conseguente depauperamento delle risorse ittiche, uso eccessivo delle risorse idriche, sfruttamento del suolo, attacco alla biodiversità, uso aerosol, inquinamento chimico generalizzato.
Non è un segreto come l’aumento della popolazione mondiale, unitamente al miglioramento delle condizioni economiche e di vita di intere aree geografiche negli ultimi decenni, si intrecci in modo drammatico alla bomba ad orologeria sulla quale siamo seduti. E i dati dell’economia mondiale degli ultimi tempi non sono certo rosei, e non solo in Europa (basti pensare ai BRICs). C’è il rischio serio di una lunga stagnazione, segno evidente di una crisi di modello, con conseguenze poco prevedibili. Peraltro, se è verissimo che l’UE cresce poco a causa di scellerate politiche pro cicliche, immaginare di poter contare in un futuro prossimo su una crescita “tradizionale” ed equilibrata attorno al 3% del PIL è pura illusione.
A fronte di questa situazione, e dopo anni di riflessioni e negoziati, il 25 Settembre 2015 a NY l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, definito come uno “sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Per ottenere sviluppo sostenibile, è necessario armonizzare tre fattori : crescita economica, inclusione sociale e tutela dell’ambiente.
L’Agenda è corredata di 17 “Goals” coniugati in 169 obiettivi specifici:
- Goal 1: Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo
- Goal 2: Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile
- Goal 3: Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età
- Goal 4: Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti
- Goal 5: Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze
- Goal 6: Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie
- Goal 7: Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni
- Goal 8: Incentivare una crescita economica, duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti
- Goal 9: Costruire una infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile
- Goal 10: Ridurre le disuguaglianze all’interno e fra le Nazioni
- Goal 11: Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili
- Goal 12: Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo
- Goal 13: Adottare misure urgenti per combattere i cambiamenti climatici e le sue conseguenze
- Goal 14: Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile
- Goal 15: Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno, e fermare la perdita di diversità biologica
- Goal 16: Promuovere società pacifiche e più inclusive per uno sviluppo sostenibile; offrire l’accesso alla giustizia per tutti e creare organismi efficaci, responsabili e inclusivi a tutti i livelli
- Goal 17: Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.
Da notare, ed è importantissimo, che il concetto stesso di Sviluppo Sostenibile cosi espresso rappresenta al tempo stesso un quadro analitico (tutte le crisi attuali sono interconnesse) e la sua risposta normativa, sia a livello etico/morale che politico/legislativo (le soluzioni sono un congiunto di azioni e politiche anch’esse indissolubili).
A differenza dei Millennium Development Goals, gli SDGs sono universali, nel senso che si debbono applicare a tutti i paesi del pianeta, e quindi anche all’interno della UE, e sono indivisibili perché per l’appunto profondamente legati l’uno all’altro. E’ evidente, guardando alla lista degli SDGs ma anche agli obiettivi specifici a ciascuno di essi, che i paesi più sviluppati fra cui l’UE dovranno impegnarsi a livello interno più particolarmente in taluni campi, mentre per altri lo sforzo dovrà concentrarsi in un cambio di rotta nelle politiche “esterne” (politica estera, aiuti allo sviluppo, commercio estero).
Se veramente presi sul serio, gli SDGs possono ridare slancio alla Politica, produrre nuove forme di resilienza e mobilitazione sociale e nuove speranze: il recente appello « per le persone, per il pianeta e per la prosperità globale » promosso da Sindacati europei, Wwf e Concord (Confederazione europea delle ong per gli interventi umanitari e di sviluppo), sottoscritto da 175 associazioni europee lo dimostra.
Ma soprattutto credere negli SGS significa liberare risorse, sia pubbliche che private, mai o poco spese prima a questo scopo.
Un nuovo progetto anche per la Sinistra europea
L’Unione europea, con tutte le sue debolezze di governance, economiche ed istituzionali, sarebbe il soggetto politico di gran lunga più avanzato e più competitivo in un contesto globale adatto agli SDGs, sapendo che la crescita sostenibile che si produrrebbe non andrebbe, come accade spesso attualmente, a discapito dei paesi in via di sviluppo, bensì servirebbe a correggere decenni di errori coloniali e post coloniali che ci stanno passando il conto sulle coste del Mediterraneo. Del resto la Commissione attuale sta già lavorando in questo senso, e dossier quali il dopo Parigi, l’energia ed l’economia circolare lo dimostrano. Ciò che manca ancora drammaticamente è il quadro di insieme, una “narrative” globale e positiva.
Per la famiglia dei Socialisti e dei Progressisti europei, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite rappresenta un’incredibile opportunità, e può diventarlo ancora di più se il prossimo Segretario Generale dell’ONU dovesse essere – come sembra – un Europeo vicino ai nostri valori. Agli occhi di molti, soprattutto giovani disamorati (con ragione) dalla politica, gli SDGs sarebbero l’unica Alternativa possibile ad una globalizzazione vissuta sempre più come ingiusta, antidemocratica e pericolosa per le risorse del Pianeta, in opposizione alla non soluzione populista del vecchio modo di intendere il “protezionismo”.
Attenzione pero. Per adattarsi all’Agenda 2030, dobbiamo “rassegnarci” alla complessità, e quindi al vero ritorno della Politica con la P maiuscola. Il fatto è che gli SDGs necessitano di soluzioni a lungo termine, talune ancora da ricercare a livello scientifico e organizzativo in materia di sanità e salute, educazione, agricoltura, politiche urbane, energia, biodiversità…ma anche in termini di misurazione, per passare dallo sterile ed insufficiente calcolo del PIL ad una più completa e complessa fotografia del “benessere” che tenga anche in maggior conto il reddito reale a disposizione dei cittadini. Bisogna costruire un modello inclusivo per motivare tutti gli attori, in particolare università, centri di ricerca ma anche gli imprenditori (e in generale i partner sociali), perché buona parte degli SDGs necessitano di importanti cambiamenti nel rapporto fra economia e società.
Per la famiglia progressista si tratta di un terreno favorevole: per un nuovo modello di sviluppo, per una nuova rivoluzione industriale globale, c’è bisogno di a) investimenti pubblici, b) nuova regolazione legislativa e quindi intervento delle Istituzioni, e di c) una rinnovata, grande partecipazione civile.
Lo Sviluppo Sostenibile, se portato convintamente, potrebbe essere la risposta alla triplice crisi della Sinistra Riformista di questo secolo XXI:
– gli SDGs impongono senza riserve un quadro di azione transnazionale, risolvendo il limite nazionale che storicamente ci siamo imposti e dal quale, malgrado il rafforzamento dell’UE, peniamo ad uscire;
– Sviluppo Sostenibile vuol dire nuovo modello economico, necessario per i Progressisti dopo la recente crisi del nostro compromesso con il capitalismo/economia reale del dopoguerra;
– grande partecipazione civile e “resilienza” sono la risposta alle odierne difficoltà nel conciliare democrazia rappresentativa e diretta.
Una strada quindi da percorrere è tornare forti in campo, appoggiando l’organizzazione internazionale per antonomasia (ONU) che non a caso ha visto la luce dopo la fine dell’ultimo grande conflitto mondiale, e che è in questo momento pericolosamente debole e poco autorevole: rafforzarla pare quindi un compito più che necessario, dopo decenni di dominio di altre istituzioni transnazionali poco equilibrate e sostenute con convinzione ideologica dalle Destre (FMI, WTO…).
Si tratta di chiarire una volta per tutte che il quadro al quale aspiriamo, la visione che ci anima, è la convinzione che, contrariamente agli ecologistici di maniera, siamo convinti che ci possa essere un futuro di sviluppo economico, anche e soprattutto industriale, che possa rispondere e corrispondere alla attese di milioni di persone. E’ peraltro essenziale che, nell’UE i paesi del Mediterraneo, in teoria i meno pronti ad affrontare la sfida, si mettano in ordine di marcia il prima possibile, pena una concezione degli SDGs troppo orientata verso il Nord ed il settore dei servizi. Al contrario, in paesi come l’Italia, dagli anni ’80 risulta ormai evidente che senza una decisa modernizzazione industriale, sia nel senso del processo che del prodotto, il futuro resterà magro ed incerto. Una tale modernizzazione passa inesorabilmente attraverso la ricerca, lo sviluppo di infrastrutture materiali ed immateriali moderne, la lotta alla corruzione e, una volta per tutte, la cura del “capitale umano” del paese, attualmente in fuga. In questo senso, il recente successo dell’imponente programma PRIMA acronimo per “Partnership Research and Innovation in the Mediterranean Area” (che ha appena ottenuto l’avallo della Commissione, ed è in attesa di passare al PE e al Consiglio) segna un punto importante a favore degli SDGs nell’area del Mediterraneo. Si tratta di R&S in approvvigionamento idrico e sistemi alimentari e ingloba 11 stati membri, 3 paesi associati, 5 non associati con le rispettive università e centri di ricerca. Il bilancio (europeo e degli stati membri) è di rilievo e potrebbe superare il mezzo miliardo di euro, il coordinamento è affidato all’università di Siena.
Le sfide
Il problema maggiore per un’agenda di Sviluppo Sostenibile è il gap crudele fra interventi a lungo termine e risultati a breve. Va pero riconosciuto che la crescita fragile e malata di oggi potrebbe rappresentare un incentivo a cercare soluzioni altrove. I costi della transizione possono essere enormi, soprattutto per il “capitale umano” in termini di educazione, istruzione, formazione e accompagnamento di welfare.
D’altra parte, molti posti di lavoro difficilmente localizzabili si stanno creando e possono essere ulteriormente creati a breve nelle filiere della green economy, ad alta intensità occupazionale se opportunamente incentivati (investimenti e regole).
Un’altra sfida che può trasformarsi in una grande opportunità è che il centro nevralgico della diagnosi SDGs, ma anche delle possibili soluzioni è rappresentato dai grandi conglomerati urbani. Non a caso tutte le organizzazioni che raggruppano le grandi città (si pensi in Europa a Eurocities) su scala globale stanno prendendo molto sul serio l’Agenda 2030. La sindaca di Parigi ha già annunciato di voler riunire i colleghi delle grandi metropoli del globo in una alleanza fra città.
E proprio dalle città può venire la risposta all’altra grande questione: lo Sviluppo Sostenibile deve essere compreso e portato dal basso. Chi non ricorda la vecchia ambizione dell’agenda di Lisbona, “fare dell’UE l’attore più competitivo del pianeta con un’economia basata sulla conoscenza e sul nostro modello di economia sociale di mercato”, un’idea certo visionaria ma calata dall’alto, senza nessuna consapevolezza civile e che si è presto trasformata in uno sterile ripetersi di rapporti, numeri, scartoffie, indicatori nominali presto dimenticati. Compito di tutti sarà di fare di un nuovo modello di sviluppo il quadro delle risposte che i cittadini chiedono e alla quali dovranno essere associati.
Ma non sfugge neppure, sull’altro versante dello sviluppo territoriale, l’importanza degli SGDs per il mondo agricolo e rurale, contro il dissesto idrogeologico e per un ripopolamento delle campagne fatto di innovazione, sicurezza alimentare, occupazione e sostenibilità. Mi pare che in Italia in particolare, fra mille difficoltà, si stiano registrano dei segnali in questo senso.
Infine, la sfida dei giovani, del loro futuro e del ruolo della politica. Basti qui fare riferimento ai recenti utilissimi sondaggi/studio della Fondazione europea Studi Progressisti (FEPS) sui “Millennials” europei e non. Contrariamente a quello che si crede, le giovani generazioni non si disinteressano alla politica; questi nuovissimi “Millennials” hanno capito, a differenza dei loro fratelli appena maggiori, di non aver più alibi. Ci guardano certo con rimprovero, non si fidano “dei politici” ed hanno ragione, ma sanno che tocca a loro. Non sarà una passeggiata, ma se vorranno davvero sopravvivere dovranno essere resilienti, autonomi e rendersi protagonisti di un cambiamento nel senso di uno Sviluppo Sostenibile che tenga insieme società, economia e Pianeta e che parta dal basso e dai territori. Anche perché se il dramma del nostro tempo sono le diseguaglianze, per combatterle occorre un progetto collettivo che si nutra di corpi intermedi sociali forti e rappresentativi, davvero radicati, e che assolvano ad una funzione di “transparency, accountability, empowerment” piacerebbe dire a qualcuno in inglese, in una parola di “emancipazione”.
Per fare tutto questo, i Progressisti europei, ed in particolare quelli che operano nelle istituzioni europee, Gruppo S&D in primis, dovrebbero risolutamente puntare sulla “narrative” dello Sviluppo Sostenibile per:
– spingere la Commissione a inglobare esplicitamente ed orizzontalmente gli SDGs nel suo Programma di lavoro. Si tratta di chiedere al Presidente Juncker di coniugare le sue dieci priorità in funzione dello Sviluppo Sostenibile (energia, sviluppo economico, politica estera, aiuti allo sviluppo, ma anche pilastro sociale, agricoltura…);
– ottenere una riflessione davvero integrata fra tutti gli attori, compresi società civile e partner sociali anche perché come abbiamo visto la riconversione industriale è parte essenziale di un nuovo modello;
– rendere tutti gli strumenti e le procedure al momento criptiche quali EU 2020, Semestre europeo, ect…coerenti con l’Agenda 2030 dell’ONU;
– considerare gli SDGs come le linee guida della nostra azione esterna, andando al di là di una concezione di “politica estera” che di estero/esterno ha più ben poco, ma è ormai squisitamente geopolitica;
– riorientare gli strumenti finanziari a disposizione dell’UE (ESF, EDF, DCI, EIB….) per realizzare gli SDGs; ripensare le Prospettive finanziarie (risorse e spese) in funzione di questo obiettivo.
In conclusione, lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite può contribuire a ridare senso al progetto europeo. Ci aiuta a pensare ad un’economia globale aperta, contro tutte le tentazioni populiste e ‘anti”, imponendo (questa volta per davvero…) alla globalizzazione di lavorare per tutti, preservando il Pianeta e le generazioni future. Bisogna cominciare una riflessione affinché diventi il programma dei Progressisti in vista delle elezioni 2019.
Anna Colombo
AC- Agosto 2016